Dispersi (2020)
Dispersi
“… frammenti senza senso che vivono tristemente separati, come le stelle nella notte” (Robert Musil)
“Le case degli uomini formano costellazioni in Terra” (Gaston Bachelard)
“Dispèrso: (aggettivo) Sparso qua e là, di persone o animali che vagano in disordine, di soldati in rotta e sbandati, di popolazioni prive di unità e di guida; (sostantivo) Persona scomparsa in occasione di fatti bellici o di una catastrofe, senza che sia stato possibile recuperare la salma” (Dizionario Treccani).
La misura cautelare per la prevenzione della diffusione del virus, il cosiddetto “distanziamento sociale” (termine che forse dice più di quanto si vorrebbe), ha stravolto le relazioni interpersonali; le “mascherine” che nascondono gran parte del viso e i guanti che negano alle mani la tattilità, modificano la percezione dell’altro e del mondo che ci circonda.
Dispersi, sparpagliati nello spazio (open air), saranno gli spettatori, invitati a sperimentare una nuova relazione con gli attori e con lo spazio scenico, e a costruire ciascuno la sua propria (diversa dagli altri) visione dello spettacolo, in un personale montaggio dei materiali offerti.
Dispersi, spaesati, saranno gli attori, che, privati dell’abituale sicuro punto di riferimento di una visione frontale da parte del pubblico, sperimenteranno anche loro un diverso rapporto con lo spettatore, in uno spazio fluido e policentrico.
(“Disperso”,ci ricorda il dizionario, è definita pure la persona morta, la cui salma non è recuperata e che quindi resterà senza esequie: qualcosa avvicina i migranti morti in mare e nei deserti e i malati morti negli ospedali per coronavirus).
“Forse sarà la luce altra tortura. / Chi sa che cose nuove mostrerà.” Le finestre, Konstantinos Kavafis
Di e con: Chiara Borsini, Nicola Castellini, Noah Jaden Cavadenti, Maria Fortuna, Agnese Garofalo, Stefan Godonoga, Nahom Worku Hailemariam, Christhine Lord, Ilaria Natale, Jean Philippe Ntamak, Maria Orsini, Lee Pet-Shan, Walter Pituello, Anna Poppiti, Agnese Ranocchia, Jhans A. Serna Rayme, Edoardo Spoto, Simone Tinarelli.
Ideazione e regia: Danilo Cremonte. Aiuto regista: Anna Poppiti. Luci: Axel Lepper.
Lo spettacolo fa parte del progetto “Human Beings 2020”, realizzato con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e dell’Università per Stranieri di Perugia; con il patrocinio di: Regione Umbria, Comune di Perugia, ANCI Umbria, Università degli Studi, Accademia Belle Arti; e la collaborazione di Arci Perugia, Soc. coop. Perusia, “Unitatis Redintegratio”.
(…) nello spettacolo si sente tutta la nostalgia di quei contatti mancati, ognuno chiuso nella dimensione “domestica” (e heimlich coincide con il suo contrario, unheimlich, secondo Freud) del confinamento, ma non rassegnato alla perdita… Ma se questo è fondamentalmente il testo – di grande fascinazione, nel variare continuo di prospettiva – dello spettacolo, interessante e sorprendente è il contesto (destinato a diventare testo a sua volta), e cioè il “trattamento” riservato al pubblico: ogni singolo spettatore viene accompagnato al suo posto, ben dentro la scena ancora tutta illuminata dello spettacolo, e lasciato lì separato da tutti gli altri, solo. Ben presto si troverà circondato dagli attori, impegnati su tutto lo spazio di cui lo spettatore (ogni spettatore) sarà improvvisamente al centro (…)
Estratto da: Dispersi: i “contatti mancati” (Walter Cremonte, Micropolis-il manifesto 8/10/2020)
Testo integrale della recensione Dispersi: i “contatti mancati” (Walter Cremonte, Micropolis-il manifesto 8/10/2020)
DISPERSI: i “contatti mancati”
Il nuovo spettacolo di Human Beings
Com’è andare a teatro in tempi di coronavirus? Certo non si può pensare che tutto sarà come sempre, sarà certo un’altra cosa. E chissà se questa situazione nuova, con tutti gli accorgimenti e tutti i limiti imposti, distanziamento sociale e tutto il resto, non possa produrre qualcosa di veramente nuovo, di radicalmente diverso dal solito: magari sapendo trasformare i condizionamenti e gli impedimenti in uno stimolo positivo verso soluzioni impreviste e sorprendenti. Come si dice, di necessità virtù … Così è stato, mi sembra, con Dispersi, l’ultimo spettacolo – o “gioco scenico” – del Laboratorio teatrale interculturale Human Beings di Danilo Cremonte, rappresentato nei primi sei giorni di settembre nel Chiostro di S. Anna a Perugia. Costretto gioco forza a fare i conti con il lockdown, il laboratorio – di cui lo spettacolo è solo l’elemento conclusivo – non ha potuto, quest’anno, seguire il suo normale svolgimento, fatto di incontri, esercizi, improvvisazioni, scoperte … Soprattutto di incontri, e di contatti: si sa quanto il laboratorio di Danilo punti sui contatti, che fanno umani gli esseri umani, sin dalla grande lezione del Kontakthof di Pina Bausch. E nello spettacolo si sente tutta la nostalgia di quei contatti mancati, ognuno chiuso nella dimensione “domestica” (e heimlich coincide con il suo contrario, unheimlich, secondo Freud) del confinamento, ma non rassegnato alla perdita: questa nostalgia, questo cercarsi e perdersi continuato di solitudini non arrese è un po’ la cifra dello spettacolo, che trova un suo momento rivelatore nella bellissima, struggente canzone di Rustichelli Sinnò me moro (“Vojo resta’ co’ te sinnò me moro”) intonata splendidamente a due voci da due protagoniste lontane l’una dall’altra (forse un ricordo dei canti dai balconi?), eppure così vicine nel desiderio e nel rimpianto. È un cercare ancora qualcosa che è fuori, e qui non è tanto il lockdown quanto una condizione esistenziale più generale, che crea momenti di grande suggestione (e commozione) come la sequenza stupenda delle finestre vaganti, attraversati all’improvviso da lampi di inquietudine (le corse impazzite nel buio). Ma se questo è fondamentalmente il testo – di grande fascinazione, nel variare continuo di prospettiva – dello spettacolo, interessante e sorprendente è il contesto (destinato a diventare testo a sua volta), e cioè il “trattamento” riservato al pubblico: ogni singolo spettatore viene accompagnato al suo posto, ben dentro la scena ancora tutta illuminata dello spettacolo, e lasciato lì separato da tutti gli altri, solo. Ben presto si troverà circondato dagli attori, impegnati su tutto lo spazio di cui lo spettatore (ogni spettatore) sarà improvvisamente al centro. E scoprirà, da dentro, tutta la complessità (e la bellezza) della messa in scena, e in particolare di quest’uso sapiente, quasi magico, delle luci, che seguono e accompagnano gli attori in ogni loro scorreria. Non è solo saltata la famosa quarta parete, qui pareti non ce ne sono proprio e lo spazio scenico con gli attori e gli spettatori è tutt’uno con tutto lo spazio fisico disponibile: questo bellissimo chiostro, con i suoi alberi magnifici, i portici semibui sullo sfondo e il suo pozzo, dal quale a un certo punto emergeranno le parole da Finale di partita di Beckett, che si uniranno alle parole di Rabelais, Kafka, Kavafis, Pasolini …
Non ci sarà, questa volta, la scena “di massa” a cui il teatro di Human Beings ci ha abituati, volta a sciogliere (magari nei toni comici) le tensioni accumulate dalla drammaturgia. Le regole del distanziamento lo vietano. Ma ci sarà – in un crescendo di rara intensità – un convergere di tutti gli attori al centro, in un ricordo commosso dei tanti morti in mare (dispersi, senza una tomba, che forse qui, come in un cimiterino di campagna, trovano un po’ di pace) e nell’omaggio forte e coinvolgente a black lives matter: in quei pugni chiusi tanti di noi si sono ritrovati, e credo che l’applauso lungo e convinto, subito dopo, lo abbia dimostrato.
Walter Cremonte