Oh Gregor! (2017)
“Oh Gregor!” gioco scenico in una stanza
“Oh Gregor! gridò la sorella col pugno levato e lo sguardo penetrante. Dalla sua metamorfosi erano le prime parole che gli rivolgeva direttamente.”
Franz Kafka, La metamorfosi.
Lo spettacolo Oh Gregor! trae spunto da diversi racconti di Franz Kafka, in particolare La metamorfosi. Kafka non voleva che nella copertina del libro comparisse una affigurazione di Gregor (l’Ungeziefer, l’insetto immondo che “non lo si può far vedere neanche da lontano”), e lo spettacolo non è la rappresentazione del racconto. Le azioni e i gesti degli attori (coautori del pezzo), il gioco di luci e ombre, le musiche (soprattutto Lieder tedeschi – i cui testi non sono secondari – ma anche melodie klezmer e la canzoncina d’amore preferita da Kafka), forniscono continuamente nuovi spunti allo spettatore che assiste davanti a sé allo sbocciare poetico dell’opera, nella libertà di crearsi ciascuno la propria
visione. Attraverso l’uso di pochi oggetti, la stanza si trasformerà nel corso dello spettacolo in un ripostiglio, dove l’insetto umano – condannato a morte – costruirà la sua tana (altro racconto di riferimento), dove ritirarsi in attesa della fine.
Ideazione e regia: Danilo Cremonte.
Di e con: Stefan Godonoga, Arian Imani, Axel Lepper, Rita Marinelli, Anna Poppiti, Jhans Serna Rayme e di Waqas Ali Majeed . Assistente: Christine Lord.
Luci: Christian Sorci. Foto: Thomas Clocchiatti.
Testi di riferimento: Franz Kafka (in particolare La metamorfosi e La tana)
Musiche:
Nacht und Träume , F. Schubert – M. von Collin
Eden, N. Kennedy and the Kroke Band
Nun will die Sonn’ so hell aufgehn , G. Mahler – F. Rückert
Num leb’ wohl, du kleine Gasse , F. Silcher – A. von Schlippenbach (la canzone preferita da Kafka, secondo R. Stach)
Ständchen, F. Schubert (versione per violino)
Shapiros Korohod, Budowitz (musica klezmer)
Beim schlafengehen, R. Strauss – H. Hesse
Versi di animali
“Charlottenburg, 10/4/17. Egregio Signore, Lei mi ha reso infelice. Ho acquistato la Sua Metamorfosi e ne ho fatto dono a mia cugina. Ma lei non riesce a spiegarsi la storia. Mia cugina l’ha data a sua madre, nemmeno lei è in grado di spiegarla. La madre ha dato il libro all’altra mia cugina e neppure lei sa fornire una spiegazione. Ora si sono rivolte a me. Dovrei essere io a spiegare loro la storia, essendo il laureato della famiglia. Ma io non trovo risposte. Signore! Ho affrontato per mesi, in trincea, i russi senza batter ciglio. Ma non potrei mai sopportare l’idea che la mia reputazione presso le cugine vada in malora. Solo Lei può aiutarmi. Deve farlo; perché Lei mi ha cacciato nei guai. Mi dica, dunque, per favore, quale costrutto mia cugina debba ricavare dalla Metamorfosi. Con la più alta stima sono il Suo devotissimo dott. Siegfried Wolff.” Lettera indirizzata a Franz Kafka, riportata da Reiner Stach in Questo è Kafka?
“Se il bocciolo si dispiega nel fiore, il bastimento di carta, che si insegna a fare ai bambini, si «dispiega in un foglio liscio». E questo secondo tipo di «spiegazione» è propriamente adeguato alla parabola, al piacere del lettore di stenderla, finché il suo
significato sia del tutto «piano». Ma le parabole di Kafka si dispiegano nel primo senso, e cioè come il bocciolo diventa fiore. Perciò il loro prodotto è affine alla poesia.”
Walter Benjamin, Franz Kafka, in Angelus Novus
“Ciascun personaggio di Kafka si trova rinchiuso nella barzelletta della propria vita come un pesce in un acquario; e la cosa non lo diverte affatto. Perché una barzelletta è divertente solo per chi è davanti all’acquario; la kafkianità, invece, ci fa entrare nelle
viscere di una barzelletta, dentro l’orrore del comico.” Milan Kundera, L’arte del romanzo
“Tutte le sue opere rappresentano l’orrore di equivoci misteriosi e di una colpa scevra di colpe negli esseri umani.” Milena Jesenská, Elogio funebre di Kafka
“Il sacrificio rituale, si sa è ricorrente in Kafka, dalla Colonia al Processo. Intorno a Gregor mutato in Ungeziefer ruota insomma tutta una costellazione del Sacro e delle sue tensioni polari; la tradizione mosaica e quella greca; il corpo che la serva dice «piatto
e risecchito» dell’umano insetto morto e divenuto spazzatura e quello dei campi nazisti; la violenza religiosa e la metamorfosi cristiana dell’anima che esce dall’involucro e, dice Dante, «vola alla giustizia». ” Franco Fortini, Nota del traduttore (Nella Colonia penale e altri racconti)
“Non lo si può far vedere neanche da lontano.” Franz Kafka al suo editore.
La critica
Dalla recensione di Ilaria Rossini, “Teatro e Critica” 31 gennaio 2018
«Il segreto di Kafka […] sta nell’esprimere la tragedia per mezzo dell’elemento quotidiano, e l’assurdo per mezzo di quello logico». Queste sono le parole di Albert Camus nell’Appendice su Kafka, posta a chiusura della seconda edizione (1948) del suo saggio Il mito di Sisifo. Il filosofo francese si riferisce alla caratteristica della scrittura kafkiana per la quale l’apparizione dell’assurdo può verificarsi attraverso il posizionamento di elementi del tutto logici in sé che però, simili a specchi concavi opportunamente e alogicamente orientati, riescono a cauterizzare la superficie liscia e lucida dei fenomeni. Questa precisa configurazione narrativa sembra essere ripresa, a livello scenico, dallo spettacolo “Oh Gregor!”. (…)
In questo paesaggio sonoro, scricchiolante e fantasmatico insieme, si muovono – senza quasi proferire parola per tutto il tempo – i sei interpreti (e co-autori) della pièce. Si aggirano tra i pochi pezzi di arredo lignei e semplici, costante oggetto di un gioco di ri-funzionalizzazioni che, con i sobri artifici del teatro povero, si accorda bene alla funzione narrativa della quale si diceva, l’evocazione di un mistero terribile attraverso la giustapposizione di eventi e oggetti della quotidianità, l’emorragia di un orrore sotteso alla conformazione del mondo. Ciascuno di loro assumerà, per qualche passaggio, le posture deformate dell’insetto, ne mimerà le strategie di movimento, le laboriose meccaniche di aggregazione, le tremende paure. Ma, in coerenza con un tratteggio che complica la linearità narrativa de La metamorfosi infittendone la suggestione, nella claustrofobia di un ambiente che brulica di dissonanze, si staglieranno momenti di leggiadria. (…)
Il grande lavoro sui testi e sui frammenti, condotto insieme ad allievi provenienti da tutto il mondo, sembra aggiungere una particolare tridimensionalità culturale all’operazione, alcune dolenti ombreggiature sul tema del respingimento, una nota appena più vibratile all’inestricabile interrogazione sulla definizione dell’umano. Ed è proprio la kafkiana «mancanza di meraviglia» postulata da Camus – una descrizione dell’orrore mai stupefatta e mai enfatica – che, sulla scena di Cremonte, si fa progressivamente più avvertibile, definendo, in un solo tratto, la natura proliferante dell’alienazione, l’insufficienza a fenderla del moto perpetuo del ragionamento e l’estinzione del sentimento che la osserva.
Dalla recensione di Roberto Lazzerini, Micropolis – il manifesto 27 giugno 2017
Mentre scorreva l’evento teatrale di questo nuovo lavoro, ad ogni scena, già mi rammaricavo che la sua fisionomia non fosse già scolpita per sempre. Il foglio liscio del luogo teatrale ogni sera successiva non riceverà gli stessi gesti con la stessa durata, ma il nucleo gregoriano, cui ha guardato Danilo Cremonte nell’allestirlo con l’essenzialità del suo teatro povero, rimane impresso come in una pellicola, che ogni spettatore svilupperà nella sua camera oscura. (…)
Al centro della scena perciò abbiamo la stanza di Gregor e la tana dell’animale che diviene, rifugio e ricovero. All’inizio, stanza della metamorfosi e alla fine tana della sepoltura. L’abbiamo visto questo commesso viaggiatore tornare da uno dei suoi ripetuti itinerari, con la valigia del migrante, dell’ebreo errante, del piccolo borghese dell’Europa orientale e già abbiamo osservato la sua rabbrividente metamorfosi: la perdita della postura eretta in continue cadute e il movimento sulla schiena a quattro zampe. Se il protagonista è ripartito in quattro non è soltanto per una spinta laboratoriale ma è lo stesso, come in una sovrimpressione cinematografica, nelle quattro volte in cui cambia direzione per salvare ciò che è possibile dall’invadenza della madre e della sorella, che tolgono alla stanza la sua fisionomia familiare per lasciare rintanarvelo, i quattro attori sono i suoi movimenti, risoluti e forsennati in ogni direzione, quando affronta il padre, che come il dio assente e sempre presente, cui si rivolge lo scrittore nella famosa lettera, invia una pioggia di mele, di cui una sola trafiggerà la schiena del povero Gregor e di cui morirà. (…)
Tutti bravi, come si dice, ma davvero.
Dalla recensione di Sara Oriani, “La Locomotiva” 1/11/2017
I personaggi non proferiscono se non qualche babelica parola, mentre la scena è popolata da versi elettrici di insetti e dai passi veloci degli attori che zampettano per la stanza convulsamente. In questa tana gli insetti si muovono al ritmo marziale dei soldatini che battono in ritirata sotto i mobili, acquattandosi furtivi all’udire rumore di passi umani, spaventati per la paura o, invece, avvicinati per la fame, secondo l’istinto. (…)
Lo spettacolo non lascia lo spazio per commuoversi e Cremonte riformula il linguaggio del corpo, spezza i movimenti degli arti e dota i suoi attori di zampette e corazza, interrogandosi sul senso dell’essere umani e, anzi, no ai limiti in cui questo “umano” si trasforma nell’Ungeziefer, l’insetto immondo. (…)
S’intravede tuttavia, tra i ghigni di strambi personaggi con il sigaro, sadiche lapidazioni di mele e sputi denigratori, nello straziante suono del violino da parte di una ragazza la cui ombra sulla parete disegna un’immagine leggiadra, la possibilità del bello. (…)
Uno spettacolo autentico e poetico, di cui sentivamo assolutamente il bisogno.
Dalla recensione di Jingyi Wang (Prof. Shandong University of Art)
“Il Mondo nelle Prove”
Il palcoscenico del teatro è quadrato e rappresenta un soggiorno molto buio; gli attori sono gli ospiti che Cremonte ha invitato per conto di Kafka. Guardando dalla platea, la stanza sembra uno scorcio di strada. (…)
Questa camera scura è una buona incubatrice ed è anche un ottimo luogo in cui evolversi, ritrovarsi e combattere. Sia da uomini che da scarafaggi fanno avanti e indietro nella stanza e ripetono la routine quotidiana.
La debole luce nella stanza illumina la figura degli attori e il tempo e lo spazio sono centrati su di essa. Un passo diventa la misura del tempo, la velocità e la lunghezza del passo misurano il suo scorrere; Gregor cammina tra la folla con la valigetta in mano. Chi conosce meglio la strada di un commesso viaggiatore? (…)
Le cataste di oggetti sul palco sono il punto di collegamento tra il mondo e la terra e Gregor, scavando una tana in questo punto, è ritornato allo stato originario della vita. Questa occasionale evoluzione inversa ha fatto sì che si completasse la trasformazione dell’identità del commesso viaggiatore. Da questo momento lui vede il mondo solo dal punto di vista di una forma di vita pura, naturale. (…)
Come ha detto il regista: “La morte è uno dei modi per esplorare e raggiungere la pace”, ma la corda alla fine non viene stretta e, grazie anche alla lettura dell’officiante, Gregor potrebbe aver trovato una via per la salvezza. Questa cerimonia della morte è la rimozione del trucco da parte del personaggio, è l’inserirsi del mondo nelle prove, perché finché a Gregor rimane un respiro, il giudizio finale non arriverà perché la radice del mondo è ancora legata alla terra, la prova è ancora in corso.